Proviamo per un attimo a guardare al di là del flagello elettorale dell’intera sinistra e a svestirsi delle cieche speranze e delle ferite che ogni militante dell’ultimo trentennio ha accumulato. Cosa può aiutare tutti noi a prepararci al meglio ad uscire dall’arena post-voto che l’avversario di classe ormai pregusta? Intanto cominciamo con definire “il noi”.
Con noi, soggettivamente, intendiamo i comunisti, cioè quelli che da qualche decennio stanno cercando la strada maestra per dar vita a una organizzazione di classe che ponga all’ordine del giorno, senza cadere nel velleitarismo, la questione della rivoluzione ovvero la lotta per una società più giusta ed equa.
D’incipit definiamo anche l’arena a cui ci riferiamo: l’arena è il solito e rituale luogo dove, finite le elezioni e svanite le illusorie speranze, ci saranno le “rese dei conti”, principalmente fra i quadri delle diverse forze politiche, gruppi o partiti dell’intera sinistra. Il pubblico, che ha pagato lo scotto di fidarsi ancora ed è l’unico davvero interessato a vedere come finirà questa volta la solita commedia, sarà costituito principalmente dai militanti di quelle stesse forze politiche, gruppi o partiti di cui prima. Nei palchi alti siederà l’avversario di classe che ormai può controllare il “proprio” storico avversario frammentato e con le ossa rotte.
Se così sarà – se prevarrà ancora una volta l’incrollabile fede che copre tutte le magagne di gruppi dirigenti inadeguati – difficilmente si potrà pensare di ripartire grazie a qualche punto percentuale in più o in meno.
Dall’arcobaleno in poi la variegata sinistra (comunisti inclusi) non ha mai varcato sul piano nazionale la soglia del 3%.
Destino diverso fu per la lista Tsipras, che alle scorse elezioni europee passò di poco il 4% per poi, com’era prevedibile, non riuscire a far ripartire niente. Tsipiras, l’attuale capo di stato greco, oramai rappresenta il fallimento delle velleità della sinistra di movimento e più nessuno qui in Italia si sogna di richiamarsi al suo partito-movimento Syriza. Fra l’altro una parte di quelle forze, che alle Europee superarono il 4%, abbandonate le posizioni di alternativa, oggi è schierata con Liberi e Uguali e si “domanda” se e come potrà fare a meno di sostenere un governo di larghe intese (sic!).
Oggi quel 4 marzo così vicino sembra ancora molto lontano. E il 5 Marzo lontanissimo.
Così, con la testa china sull’attuale falsa arena, apparecchiata, ricordiamo, dal PD e benedetta dall’Europa (legge elettorale, pareggio di bilancio in Costituzione e quant’altro), un ormai ridottissimo popolo di militanti si affaccenda, non chiedendosi nemmeno il perché è ormai ridotto ai minimi termini da un decennio e perché la classe che intende rappresentare (termine questo che andrebbe rivisto e precisato) pensa e penserà ad altro.
Si sa che le arene elettorali producono solo nuova frammentazione.
Lo abbiamo già scritto su Tempi Post Moderni; non perché siamo cattivi e iettatori, ma perché pensiamo che la prima regola dei comunisti dovrebbe essere quella di capire “la fase sociale e politica”, di usare “il pessimismo della ragione” senza sostituirlo con un ottuso “ottimismo della volontà”. Basterebbe infatti essere semplici osservatori per rendersi conto di come i compagni vivono sui territori la campagna elettorale, alternando docce calde (i momenti di onesta militanza, il lavoro elettorale) a docce fredde (gli scontri sulle candidature, i simboli da presentare, i programmi che scontentano alcuni).
Come si può ancora pensare che possa esistere un deus ex-machina che possa far risorgere una speranza? Qualcuno dice, rivolgendo l’attenzione alle diverse anime della sinistra: fategli provare, perché no? Il punto è che non si tratta di cercare un prototipo per un nuovo motore; o di creare un modello di frullatore a cui nessuno aveva mai pensato. Si sta parlando di materia viva. Di uomini e donne in carne ed ossa e, cosa ancora più importante, di ricreare un “motore” per la classe. Parliamo di rivoluzione, non di sfogare la sacrosanta rabbia e l’odio che permea ciascuno di noi di fronte alle ingiustizie della storia e del presente. E allora, prima di gettarsi nel tritacarne delle competizioni elettorali truccate dai bari del sistema capitalista o in processi costituenti di nuovi soggetti di alternativa, si dovrebbe ragionare su ogni critica, analisi o proposta che provenga da compagni e compagne che “sentono” nel profondo la necessità di trasformare profondamente lo stato di cose presenti.
Le tifoserie e gli ultrà appartengono al gioco, il quale, fra l’altro, fa parte della grande arena che rappresenta una delle poche costanti dell’umanità accomunando l’antichità, la modernità e la post-modernità: panem et circenses. E ora che di panem per la classe ce n’è poco, dovremmo smettere di cercare il Newton di turno o, per parlare in termini novecenteschi, l’Einstein moderno. I Newton, non sono mai esistiti. Non ci siamo bevuti il cervello: intendiamo dire che non sono esistiti come la maggior parte di noi immagina. Essi sono stati degli straordinari cervelli figli del loro tempo – che hanno saputo interpretare (ovviamente in ambiti diversi e con obbiettivi diversi) – e che hanno potuto maturare le proprie idee in un rapporto dialettico con la loro storia, con altri scienziati e filosofi. Se poi pensiamo ai costruttori del socialismo scientifico allora quel confronto si è esteso all’intera storia dell’umanità e soprattutto c’è stato un rapporto organico con la classe. Insomma, non è stata una mela che cadendo ha fatto scoprire di botto la legge del cosmo a Newton. È una novella buona ad una visione romantica che fa scomparire un intero dibattito e confronto serrato. E se una mela che si è staccata da sola da un albero non basta a giustificare la nascita di una delle più belle teorie scientifiche, figuriamoci se può bastare presentarsi ogni tanto alle elezioni – ormai frutto “avvelenato” preparato dall’avversario di classe – a far rinascere qualcosa di buono a sinistra (e di utile ai lavoratori italiani).
Se tutti noi la smettessimo di agire da tifosi a fare la ola in trepida attesa che qualche mela colpisca la capoccia dei dirigenti di turno e li illumini sulla strada che porterà al radioso futuro e ci fermassimo un attimo a riflettere scopriremmo una verità: che è la somma delle nostre volontà e la somma delle nostre azioni che può produrre l’illuminazione. Si chiama agire e pensare collettivo, in altre parole un partito vero, comune. La nostra casa, la casa del popolo!
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