Come redazione ci eravamo riproposti di aspettare la fine di questa strana e noiosissima campagna elettorale per ragionare e riflettere sul voto e su come i “bari” della democrazia si saranno nuovamente garantiti la conservazione dei privilegi e del controllo sul nostro Paese; se ciò avverrà con il M5S oppure con il centro destra o con il Pd o, cosa assai probabile, con una grande coalizione, poco cambierà nelle condizioni di vita degli italiani. Avremmo così anche potuto ragionare, dopo le elezioni, sull’annunciato e assai probabile ennesimo disastro della sinistra italiana ed in particolare di quella comunista.
Però succede che in questi giorni la “sinistra comunista” riesce persino a rendere inutile l’attesa del 4 marzo, avendo annunciato – una parte dei soggetti costituenti Potere al Popolo – il suicidio della propria lista.
Infatti per domenica 18 febbraio, cioè quattordici giorni prima del voto, è convocata a Roma un’assemblea per lanciare la “Costituente del soggetto per l’alternativa”.
Non bisogna essere esperti pubblicitari per sapere che non si lancia certo un bel messaggio ai pochi possibili elettori se, a pochi giorni dal voto, una parte dell’eterogenea coalizione decide di scavalcare la lista di Potere al Popolo e di decretarne, sostanzialmente, la fine anticipata, annunciando che dopo il voto nascerà un altro soggetto. Possibile che l’autolesionismo e la miopia politica arrivino fino a questo punto?
Oppure, e questa purtroppo pare essere la cosa più probabile, si tratta di un’assemblea preparata in vista del deludente risultato elettorale? Questo spiegherebbe la fretta di mettere in campo un percorso per tenere uniti i militanti e gli elettori all’interno di un progetto, nonostante il probabile disastro elettorale e le macerie lasciate nei territori e in tutti coloro che hanno riposto la loro fiducia e speranza in siffatto progetto di unire le forze comuniste.
Non sarebbe la prima volta (anzi è purtroppo accaduto spesso negli ultimi anni, dall’Arcobaleno in poi) che i gruppi dirigenti delle varie forze politiche “antagoniste” e comuniste – che hanno dato vita in fretta e furia, visto il fallimento del progetto iniziale dell’assemblea del teatro Brancaccio, alla lista Potere al Popolo – “barino” sulla natura della lista (che infatti non regge nemmeno il tempo della campagna elettorale) e sulla “riunificazione dei comunisti” che, prima si sono visti sfilare la falce e martello dal simbolo, e ora vedono dissolversi il “partito” in luogo di un soggetto politico che guarda ai centri sociali e alle “moltitudini”, antagonista negli slogan ma del tutto funzionale al sistema economico-politico capitalista.
Il gruppo dirigente del PRC, che ha di fatto egemonizzato il percorso elettorale, rilancia sul terreno del superamento della rifondazione, operando l’ennesima torsione movimentista e post-ideologica. Molti compagni dovranno seriamente iniziare a fare i conti con i “sicari” di quel partito, alzando la testa dall’impegno estremo che mettono quotidianamente nella campagna elettorale per rendersi conto che il terreno è troppo contaminato per continuare a sperare di veder germogliare speranze.
Registriamo poi l’assenza, dall’appuntamento di domenica 18 febbraio sulla Costituente “post PaP”, dei dirigenti del PCI, unita all’emergere di posizioni debolmente – per essere buoni – critiche di alcuni di essi verso la lista che hanno peraltro appoggiato con vigore, fino a spaccare il partito. Posizioni con cui cercano di smarcarsi tradendo, con ciò, il loro personale obbiettivo: continuare a galleggiare, sperando che, dopo il naturale caos e disorientamento del post-voto, ci si ricordi di loro come degli intellettuali padri nobili comunisti da cui ripartire, in qualche modo, in cammini che essi stessi hanno contribuito a rendere sterili in tutti questi anni. Ufficialmente il gruppo dirigente nazionale tace, su Facebook le discussioni impazzano e qualcuno spiega ai più esterrefatti che il PCI non ci andrà perché poi, dopo le votazioni, riprenderà la sua strada. Spiegazione debole e poco lungimirante perché in questo caso sarebbe interesse comune dei soggetti promotori PaP non dare segnali che possano indebolire il voto e aspettare la fine delle elezioni per annunciare la “Costituente” e le separazioni.
Siamo sicuri invece di ciò che il gruppo dirigente del PCI ha espresso e continua a esprimere tuttora: inconsistenza politico-ideologica, incapacità di direzione politica e subalternità al quadro politico esistente – dal Brancaccio a Rizzo a PaP – elementi di basso opportunismo. Tutto ciò ha già prodotto i suoi effetti già da prima dell’adesione del PCI a PaP: dalle molte defezioni di interi circoli a quelle di dirigenti locali e nazionali, fino ad oggi con quella di un importante membro della segreteria nazionale il quale è attualmente candidato per un’altra lista elettorale (LeU).
Un partito, il PCI, in agonia.
Quello che potrebbe accadere dopo le elezioni è che il congresso, di cui già si vocifera e che molti dirigenti e militanti vorrebbero trasformare in una resa dei conti verso un gruppo dirigente inetto e opportunista, in realtà potrebbe addirittura ratificare la partecipazione ad una nuova “Costituente” e quindi, secondo noi, la fine stessa del PCI.
Un suicidio, quello di PaP, annunciato perché gestito male fin dal suo nascere; sorte peggiore toccherà al PCI, un omicidio organizzato dai “bruti” proprio alle idi di marzo.
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Immagine di copertina: Anatomia di un omicidio (Anatomy of a Murder), di Otto Preminger, 1959; liberamente presa qui.