La dura verità è guardarsi allo specchio e la dura realtà sono le cose da fare

A caldo, mentre il dibattito mediatico si concentra sulla “governabilità” – se, con chi e come verrà formato il nuovo governo che ci spremerà e garantirà all’Europa e al FMI di spadroneggiare su di noi – proviamo a fare una prima riflessione sul dato ottenuto dai partiti e coalizioni della sinistra comunista.

Lo possiamo fare subito, senza nemmeno un’analisi approfondita dei voti, perchè questo risultato, in realtà, era ampiamente previsto e prevedibile per chi ha avuto la lucidità di analizzare la situazione del nostro Paese e del mondo intero con il pessimismo della ragione di chi legge la “fase” con lo sguardo del materialismo storico.

Chi invece ha alimentato illusioni post-moderne, come i gruppi dirigenti dei partiti che hanno sostenuto la coalizione di Potere al Popolo, deve ora fare i conti con il punto più basso di attenzione di chi vota verso le politiche cosiddette antagoniste.

D’altronde è prevedibile che chi è davvero antagonista non riponga grande fiducia nel voto come strumento di lotta e chi invece per storia e cultura guarda alla competizione elettorale come momento democratico di rappresentanza delle istanze di lotta dei lavoratori e del proletariato sia più propenso al voto utile più che ai programmi pseudo “rivoluzionari”.

Come purtroppo si è visto non basta più esibire appelli di intellettuali (che però, visti i risultati, svolgono molto male la loro funzione) o imbonire gli elettori con promesse velleitarie, come il “potere al popolo”, per attirare consensi.

Eppure, nonostante tutto ciò, il voto ha degli elementi interessanti (e preoccupanti al tempo stesso): il primo è che le forze “tradizionali” di centro destra e centro sinistra più legate alle strutture europee e dalla banca mondiale, quelle più serve dell’altantismo Nato, sono uscite dal confronto elettorale ridimensionate. Il secondo elemento è che le forze più “populiste”, nell’accezione negativa e di destra, hanno ottenuto un forte consenso. Il terzo è che la sinistra (vera stampella, storicamente, di una parte della borghesia), quella che maggiormante ha sostenuto l’Europa e l’europeismo e che si richiama (malamente) alla tradizione socialdemocratica e operaista, è anch’essa trascinata in una grigia dissolvenza.

Leggendo, in estrema sintesi, il voto di domenica scorsa: gli aventi diritto al voto sono stati 46 milioni; di questi, 12.5 milioni non hanno votato, dei restanti 33.5 milioni, che invece hanno espresso un voto, più della metà (oltre 17 milioni) hanno sostenuto forze politiche che, nelle intenzioni dichiarate in campagna elettorale, hanno espresso posizioni “distanti” da quelle filo europeiste, cioè 10.6 milioni al M5S, 5.6 milioni alla Lega e poco meno di 1 milione tra forze della sinistra anticapitalista e dell’estrema destra. Ovviamente non sono voti sommabili, viste le differenze, e probabilmente le intenzioni dichiarate in campagna elettorale verranno messe in secondo piano in caso di coalizione di governo; ciò nonostante le intenzioni di chi li ha votati dovrebbero essere indicative – per chi vuole fare una riflessione seria sullo stato delle cose – di un malessere profondo, per nulla subalterno al sistema, del popolo italiano, anche se esso indirizza male, e a volte malissimo, il proprio voto.

Per una forza che si voglia definire Comunista questa condizione socio-politica dovrebbe rappresentare un punto di forza – come l’acqua per un pesce (per citare Mao) – assolutamente da non disprezzare o sottovalutare, né temere, anzi, una condizione che andrebbe capita e aiutata.

Invece la collocazione radicale e “piccolo borghese” (cioè lontana al popolo) della coalizione Potere al Popolo ha ulteriormente isolato e marginalizzato, non i nostrani partiti comunisti (questo potrebbe essere persino un bene), ma l’idea stessa che la soluzione ai problemi dell’Italia possa essere rappresentata dalle idee del socialismo come alternativa al presente sistema sociale e politico.

Oggi, alla luce di tutto ciò e prima di buttarci in nuove, estenuanti e astruse analisi fatte per tranquillizzarci e anestetizzarci per i prossimi anni, per noi comunisti occorrerà riflettere e rispondere ad alcune domande:

1 Chi ha prodotto questa disastrosa situazione?

2 Chi ha illuso con false speranze i militanti e gli elettori?

3 Chi ha dimostrato, o per incapacità o malafede, di non saper leggere la situazione politico-sociale del Paese?

Le risposte sono piuttosto semplici e in primo luogo dovrebbero farsele proprio gli artefici del disastro e trarne le dovute conseguenze: i gruppi dirigenti del PCI e del PRC.

Da qui, dal ritiro di chi non è più in grado di leggere la situazione politica, di chi si è isolato dal popolo che vorrebbe rappresentare è possibile ripartire, è possibile persino pensare e tentare la ricostruzione di un soggetto politico. Prima, però tabula rasa.

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Immagine tratta da : https://www.google.it/search?q=marx+warhol&source=lnms&tbm=isch&sa=X&ved=0ahUKEwjBqpqKpNbZAhUBshQKHbI2AyYQ_AUICigB&biw=1280&bih=669#imgrc=7JBeUefDm53PnM:

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