Plano: “Salve ragazzi, vi racconterò una storia, tempo fa Rigo [un gatto anti-aeroporto confusionario e contestatore, NdR] e Pucci [una cagnolina pacata e senza pregiudizi, desiderosa di conoscere come stiano le cose, NdR] fecero un’accesa discussione sulla questione della nuova pista dell’aeroporto [di Firenze, NdR] … Ah scusate, io sono Plano e faccio servizio all’aeroporto Amerigo Vespucci…”
Rigo: “Pucci, te lo devo dire, questa storia della nuova pista parallela all’autostrada non mi piace per niente!”
Pucci: “Eccoci il solito esagerato…”
Rigo: “Io!!! Ti rendi conto dell’inquinamento che avremo, vogliamo parlare dei pesci che non ritroveranno più l’habitat per nidificare!”
Pucci: “Quali pesci e quali nidi?”
Rigo: “Mi sono sbagliato, volevo dire le rane negli stagni. Le rane non faranno più girini spaventate dal rombo degli aerei”
Pucci: “Calma ragioniamo”
Rigo: “Non sentiremo il professor Miao che ci spiega come catturare un ratto ipnotizzandolo… Soccomberemo ai ratti!!”
Pucci: “Parliamone con Plano che conosce i dettagli …”
Nei fumetti [1], e in particolare quelli commissionati, stampati e distribuiti in migliaia di copie da Toscana Aeroporti, tutto appare facile. Basta chiedere a Plano, un simpatico aereo in servizio presso l’Aeroporto Vespucci di Firenze, per conoscere in pochi minuti tutti i problemi dell’attuale pista e tutti i pregi e le meraviglie della nuova, al momento in fase di progetto ma, nel fumetto, già funzionante.
Nella realtà per farsi un’idea non superficiale e pregiudizialmente di parte occorre districarsi in una selva di carte tematiche, rapporti tecnici, studi d’impatto ambientale, tabelle con migliaia di dati derivanti da simulazioni numeriche e grafici d’ogni tipo. Molte migliaia di pagine in centinaia di documenti diversi, con relative integrazioni, correzioni e sostituzioni. Il tutto, però, consultabile on-line sul sito del Ministero dell’Ambiente [qui], all’insegna di quella trasparenza che dovrebbe consentire a ogni buon cittadino di mantenersi informato su decisioni che così fortemente lo riguardano. Perché le infrastrutture – porti, aeroporti, linee ferroviarie, stradali e di telecomunicazione, ospedali, scuole e quant’altro – rappresentano la spina dorsale di un paese. Guai se mancano, tutti lo sanno. Assai meno noto è invece il fatto che per l’Italia non è tanto la scarsità numerica delle infrastrutture a costituire un problema [2], quanto piuttosto l’irrazionalità con cui sono state costruite e l’inefficienza con cui sono gestite. E un’infrastruttura inutile o così mal costruita da essere inutilizzabile produce al paese e a ciascun cittadino un danno ancora maggiore di un’infrastruttura mancante: di fatto è come non ci fosse, ma i costi di realizzazione sono stati pagati tutti! Miliardi di euro sprecati, di certo non più impiegabili per scopi di pubblica utilità. Senza ovviamente contare il consumo di suolo, i danni ambientali e i disagi creati alla popolazione.
Il Decreto Legislativo 152/2006 impone il libero accesso alla documentazione dei progetti di rilevanza ambientale e ai relativi studi d’impatto, addirittura garantendo a ciascun cittadino la possibilità di presentare osservazioni e rilievi, che la Commissione di Valutazione Ministeriale ha poi il dovere di esaminare. Probabilmente l’intento del legislatore era quello, nobile, di rendere il cittadino in qualche modo partecipe delle scelte e il procedimento di valutazione del tutto trasparente, a garanzia della reale utilità e sostenibilità della nuova infrastruttura in progetto. Ogni legge, per quanto buona appaia sulla carta, deve però essere sottoposta al banco di prova della realtà, che nella fattispecie ha messo a nudo i grossi limiti di una simile procedura. Di fatto tutti i progetti di non trascurabile importanza richiedono analisi tecnico-scientifiche di considerevole complessità, con un numero di documenti presentati talmente grande da rendere anche la loro semplice lettura praticamente impossibile per un singolo cittadino. Senza ovviamente contare le molteplici competenze necessarie per comprendere, e non solo leggere, le diverse valutazioni specialistiche.
Il progetto per la nuova pista dell’aeroporto di Firenze, denominato “Masterplan 2014-2029”, non fa certo eccezione in quanto a complessità della documentazione depositata. Rappresenta però un caso forse unico tra le infrastrutture di rilevanza nazionale per la particolarità della sua prevista collocazione, a ridosso del Polo Scientifico di Sesto. Qui hanno sede ormai da oltre dieci anni le Facoltà di Fisica e di Chimica dell’Ateneo Fiorentino, nonché molti Istituti del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), il Consorzio LaMMA (Laboratorio di Monitoraggio e Modellistica Ambientale), laboratori dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare), del LENS (Laboratorio Europeo di Spettroscopia Non-lineare) e del CERM (Centro di Risonanze Magnetiche). Per il comprensibile impatto che la nuova pista potrebbe avere su laboratori di ricerca e aule per la didattica, gran parte dell’enorme mole di documenti presentati è stata così esaminata da cittadini un po’ fuori dal comune: ingegneri ambientali, fisici, chimici, geologi, biologi, modellisti numerici, meteorologi e studiosi d’inquinanti atmosferici, matematici e statistici. Il quadro che è emerso appare sconcertante, di ben altro tenore rispetto all’idilliaco scenario raccontato da Toscana Aeroporti con il colorato fumetto di Rigo, Pucci e Plano. Proveremo qui a riassumere i fatti essenziali in cinque punti, rimandando per i necessari approfondimenti alle relative osservazioni presentate alla Commissione di Valutazione, scaricabili dal sito del Ministero [qui e qui].
Punto 1 – I vantaggi della nuova pista e l’alternativa zero.
Il D.Lgl. 152/2006 prevede, giustamente, che il processo autorizzativo di un’opera parta dalla valutazione della sua effettiva utilità e sostenibilità ambientale, effettuando un confronto con possibili alternative, tra le quali rientra certamente il mantenimento dello stato esistente, detto “alternativa zero”. Toscana Aeroporti ed ENAC (Ente Nazionale Aviazione Civile), i proponenti [3] del Masterplan 2014-2029, indicano tre principali motivi a sostegno dell’opportunità, se non addirittura necessità, di realizzare la nuova pista.
Il primo motivo è di carattere economico-commerciale e riguarda il Coefficiente d’Utilizzo (CU) dell’attuale pista, che non raggiungerebbe il valore minimo del 95% raccomandato dagli organismi internazionali. La nuova pista, inserita tra Polo Scientifico e autostrada A11 con orientazione 12/30, garantirebbe un CU del 97,5%, il più alto tra le alternative prese in esame e nettamente migliore dell’attuale presunto 90,2%. Ma cos’è esattamente il CU e come si calcola? Una semplice domanda che qualunque fisico si porrebbe e che infatti si sono posti al Dipartimento di Fisica del Polo Scientifico di Sesto. Il CU è definito semplicemente come la percentuale di tempo in cui su una pista bidirezionale non soffiano venti trasversali così forti da impedirne l’utilizzo. Il fatto che sia bidirezionale, cioè usabile nei due sensi, è di fondamentale importanza per annullare gli effetti negativi dei venti di coda: invertendo la direzione di decollo o di atterraggio i venti di coda divengono infatti frontali e non costituiscono più un pericolo così serio da determinare la chiusura dell’aeroporto. Proprio per questo nel calcolo del CU non vengono considerati i venti diretti lungo la pista, ma solo quelli traversi, che ovviamente rimangono tali anche invertendo il senso di percorrenza. Purtroppo però né la pista attuale né quella di progetto con orientazione 12/30 possono essere utilizzate in maniera
bidirezionale, la prima per la presenza di rilievi montuosi a Nord-Est, la seconda per l’abitato di Firenze a Est. In entrambi i casi sia la definizione che il metodo standard di calcolo del CU perdono quindi di senso. ENAC e Toscana Aeroporti hanno in effetti ammesso di aver usato una procedura di calcolo del CU “non standard”, senza però mai dichiarare quale esattamente fosse. Le numerose richieste dell’Università di Firenze sono cadute nel vuoto e, a parte i proponenti, nessuno sa come siano stati ottenuti e quanto siano affidabili i valori di CU che dovrebbero far preferire la nuova pista alla vecchia.
Il secondo motivo è di carattere sanitario-ambientale e riguarda le emissioni inquinanti degli aeromobili. Le previsioni effettuate dagli stessi proponenti il progetto, peraltro senza riportare ipotesi e calcoli con cui sono state ottenute [4], indicano un traffico aereo in continua crescita per lo scalo fiorentino: dai circa 34.000 movimenti annui del 2017 si dovrebbe arrivare nel 2029 a 48.500, corrispondenti a una decina d’atterraggi o decolli ogni ora. Ovviamente ciò comporta anche un aumento delle emissioni inquinanti, ma le stime di Toscana Aeroporti ed ENAC indicano chiaramente che con la nuova pista l’aumento sarà decisamente più contenuto [5]. Al solito però il diavolo s’annida nei dettagli e a ben guardare tra i grafici che riportano i vari risparmi di emissioni inquinanti si scopre che nel primo anno d’attività, con un numero di movimenti praticamente uguale a quello attuale, sarà la nuova pista ad inquinare di più. Il motivo è logico e chiaramente spiegato nella stessa valutazione d’impatto ambientale: gli aerei che atterreranno e decolleranno dalla nuova pista, di oltre 600 metri più lunga, saranno mediamente più grossi degli attuali per cui, a parità di numero, bruceranno più carburante, inquinando di più. Ma allora, altrettanto
logicamente, sorge spontanea una domanda: se questo accade con i 34.000 voli annui di adesso, perché mai la situazione dovrebbe ribaltarsi con i 48.500 previsti per il 2029? Sull’attuale pista di 1.750 metri gli aerei più grossi e con maggiori emissioni non possono atterrare adesso e, verosimilmente, non potranno neanche nel 2029. Questo interrogativo, che solleva dubbi sulle modalità con cui sono state effettuate le
stime delle emissioni, resta tuttora senza risposta. Pur essendo stato incluso tra le osservazioni presentate al Ministero, ENAC e Toscana Aeroporti non hanno fornito né alcuna spiegazione in merito, né tanto meno le informazioni necessarie per ripetere le loro stime sulle emissioni di inquinanti nei futuri scenari.
Il terzo motivo è di carattere socio-economico, visto che la nuova pista dovrebbe produrre un considerevole ritorno occupazionale, valutato dai proponenti in oltre 2.000 nuovi posti di lavoro tra il personale aeroportuale, più tutto l’indotto generato. Anche assumendole attendibili, queste allettanti stime dimenticano però il fattore essenziale, ovvero il confronto tra lo scenario che prevede la nuova pista e le alternative possibili, prima fra tutte il mantenimento della pista esistente. I nuovi posti di lavoro, diretti e indotti, sono di fatto collegati al consistente aumento di traffico aereo, di tipo turistico e commerciale, previsto nel prossimo decennio. Un aumento non collegato alla presenza o meno di una nuova pista, ma basato sui trend di crescita registrati con l’attuale aeroporto e per esso previsti. Al più la nuova pista, rendendo possibile l’atterraggio di aerei un po’ più grandi, potrà aumentare, a parità di movimenti, il numero di passeggeri. Ma è solo su questa mai menzionata e certo ben più piccola differenza che si devono calcolare gli ipotetici vantaggi occupazionali prodotti dalla nuova pista. Ovviamente sottraendo i relativi costi, stimati al 2014 in circa 350 milioni di euro (ma ormai ritenuti da molti esperti superiori ai 500), la metà dei quali saranno soldi pubblici. E se questa ingente somma venisse investita diversamente, ad esempio nel tanto atteso Parco della Piana o in imprese ad alta tecnologia, quanta occupazione e benessere potrebbe generare? Ecco un’altra differenza davvero rilevante che i proponenti si sono ben guardati dallo stimare. Resta in ogni caso quanto mai fuorviante, per non dire ingannevole, mostrare la carota delle migliaia di nuovi posti di lavoro tacendo il fatto che non sarà tanto la nuova pista a generarli quanto piuttosto il previsto aumento di voli sullo scalo fiorentino. Se tale aumento si verificherà davvero, creerà verosimilmente lavoro diretto e indotto, sia con la nuova che con l’attuale pista. Se invece le previsioni dovessero rivelarsi errate, non solo non ci sarà alcun indotto economico ma ben difficilmente Toscana Aeroporti assumerà nuovo personale per il solo fatto di avere una nuova pista. A maggior ragione dopo aver speso oltre 150 milioni di euro per la sua costruzione.
Note
[1] “Rigo, Pucci e Plano: Un giorno in aeroporto” di Roberto Malfatti. Edizione fuori commercio a cura di Toscana Aeroporti S.p.A., distribuita gratuitamente presso stands appositamente allestiti da Toscana Aeroporti per illustrare alla popolazione il progetto della nuova pista aeroportuale di Firenze.
[2] Ad esempio le rete ferroviaria italiana ha una lunghezza pari a circa il 76% di quella francese e una rete stradale che sfiora il 90% di quella transalpina. Ma la superficie dell’Italia è meno della metà di quella della Francia, per cui le reti ferroviarie e stradali sono assai più fitte da noi che non in Francia: non ci mancano strade e ferrovie ma, semmai, chi le faccia funzionare e le gestisca al meglio.
[3] Toscana Aeroporti è il proponente di fatto, perché sarà la società che dovrà sostenere (per metà, il resto saranno fondi pubblici) i costi della nuova pista e la gestirà, insieme all’aeroporto di Firenze e di Pisa. ENAC è invece il proponente formale, in una commistione d’interessi privati e pubblici che lascia sbigottiti. Toscana Aeroporti è infatti una società per azioni ovviamente privata mentre ENAC è un ente pubblico non economico che rappresenta l’autorità italiana di regolamentazione tecnica, certificazione e vigilanza nel settore dell’aviazione civile, controllata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. In pratica vigilato e vigilante si sono uniti per presentare il progetto Masterplan 2014-2029.
[4] Guardando tra l’altro i dati di traffico dello scalo fiorentino per il periodo 2000-2012, riportati a pag. 38 della Relazione Tecnica Generale del Masterplan 2014-2029, si stenta a capire come da questi si possano ricavare stime di crescita così ottimistiche, superiori al 2% annuo. Si scende infatti dai quasi 36.000 movimenti annui del 2000 ai neanche 32.000 del 2012.
[5] INT-AMB-01-REL001rev.B pag.96